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Tartuficultura: criticità e sviluppo

  • Dott. Francesco Tagliaferro
  • 23 mar 2016
  • Tempo di lettura: 7 min

La relazione svolta al convegno della Fiera delle Piante 2016 di Roccafuvione dal Dott. Francesco Tagliaferro dell'IPLA di Torino. Cenni storici, salvaguardia del prodotto, aspetti commerciali e nuovi mercati.

La tartuficoltura, inizialmente nata in Francia a fine dell'ottocento, ha vissuto una fase di forte espansione a partire dagli anni ‘ottanta del secolo scorso, grazie alla comparsa sul mercato di piante micorrizate. A distanza di ormai quasi 40 anni si può dunque cercare di trarre il bilancio di questi primi decenni, che hanno visto talora risultati alterni, ma che hanno permesso comunque la nascita di una coltura ormai consolidata e l'introduzione del tartufo in regioni dove non era mai stato ritrovato.

Non avendo potuto ottenere piante sicuramente micorrizate con il tartufo bianco pregiato, del quale tuttora non sono chiare le esigenze per favorirne la fruttificazione, il maggiore sviluppo iniziale si è avuto in Francia, dove la tradizione colturale delle tartufaie naturali e il loro incremento con metodi più o meno empirici era ormai radicato. Il Centro Italia tuttavia si è rapidamente accodato, anche grazie alle esperienze del Dr. Mannozzi Torini, che ha diffuso la pratica dell'inoculazione delle piantine con le spore del tartufo prima della loro messa a dimora, realizzando impianti di notevole respiro e produttività. In Spagna dove la tradizione tartuficola è più recente, il settore si è mosso successivamente, fatta eccezione per alcune realtà come la tartufaia "Arotz", a lungo la più grande del mondo, ma oggi è in fortissima espansione e particolarmente attivo.

In Piemonte la scarsa tradizione per i tartufi neri (e la non grande superficie perfettamente idonea per il Tuber melanosporum) ha rallentato significativamente il progredire della coltura, che pur ha beneficiato di alcune iniziative di supporto (inizialmente contributi delle Camere di Commercio, più recentemente ad esempio il progetto Alcotra Verchamp, finanziamenti tramite il Piano di Sviluppo Rurale). La difficoltà di coltivazione del tartufo bianco pregiato ha ulteriormente limitato lo svilupparsi dell'attività, anche se la coscienza della diminuzione del prodotto e la concorrenza sui territori "liberi", in concomitanza con prezzi tendenzialmente in crescita, hanno fatto sì che nascessero tartufaie controllate e comunque con gestione attiva ancorché su basi empiriche.

Le due criticità di base attualmente lamentate si possono comunque riassumere in: produzione in calo e diminuzione delle superfici (e piante) produttive, in particolare delle aree cosiddette "libere"; o comunque non gestite attivamente. Questa considerazione di fatto sancisce l'importanza della tartuficoltura attuale e nel prossimo futuro, poiché al momento appare l'unica possibilità per rispondere ad una richiesta di mercato che resta in espansione.

La salvaguardia del prodotto: nuovi impianti e gestione delle tartufaie esistenti.

Per il tartufo nero pregiato ormai l'interesse è ampio e consolidato, grazie ai successi di parecchi imprenditori, fra cui sicuramente sono da ricordare i Fratelli Angellozzi, e poco per volta anche in Piemonte, feudo del tartufo bianco pregiato, sta crescendo l'interesse verso la coltivazione intensiva, grazie ai primi successi. Localmente infatti la tradizione della libera ricerca è molto radicata e la cultura della coltivazione stenta a diffondersi, sebbene ormai anche sulle tartufaie del bianco pregiato stia iniziando a prevalere una gestione attiva ancorché empirica. Sono stati realizzati alcuni interventi dimostrativi di recupero, ma nonostante i risultati generalmente positivi, vi è ancora poca conoscenza degli effetti reali delle tecniche colturali sulla produzione di bianco pregiato.

Un altro tartufo che solleva interesse per le possibilità di coltivazione è il tartufo estivo o scorzone, e la sua varietà uncinato, poiché sta progressivamente assumendo importanza anche sul mercato locale del fresco, dove in autunno spunta prezzi decisamente interessanti, sebbene la grande quantità sia destinata all'industria per la trasformazione/conservazione, pagata a prezzi di molto inferiori.

Un certo limite all'espansione del mercato locale in Piemonte, soprattutto del fresco, è dovuto alla scarsa conoscenza delle tecniche di valorizzazione dei tartufi neri; un altro aspetto che non si può sottovalutare è la vendita, soprattutto per lo scorzone, di prodotto non maturo o comunque di scarsa qualità organolettica che viene integrato con aromi artificiali forse anche di non eccelsa qualità per contenere il prezzo. Le qualità organolettiche di questi prodotti sono chiaramente differenti rispetto a quelle in cui viene utilizzato tartufo maturo e di buona qualità in origine, e probabilmente non favoriscono la promozione e valorizzazione di questa specie.

Nonostante i limiti ricordati, nei terreni meno favorevoli alle specie più pregiate la quantità che può produrre nelle zone a lui vocate, compensa almeno parzialmente il prezzo inferiore e lo rende interessante nei confronti di molte colture tradizionali.

Vi è inoltre la possibilità di abbinare la coltivazione dello scorzone alla produzione di nocciole, ed esistono già in commercio piante micorrizate di varietà industriali di nocciola, sebbene occorrerebbe affinare le conoscenze colturali per la gestione di questi impianti. Lo scorzone specialmente con il nocciolo ma anche con altre specie (tiglio, carpino bianco) sovente presenta alcune annate di produzione anche ottima dopodiché praticamente scompare; occorre perciò affinare le conoscenze e tecniche per mantenerne la produttività nel tempo.

Uso di provenienze locali di piante e tartufi; l'esperienza piemontese suggerisce che questi accorgimenti possono dare maggior garanzia della produzione, anche se risultati positivi si sono ottenuti anche con introduzione di materiale di origine diversa. Sicuramente si tratta di aspetti da approfondire nel tempo, ma ad oggi pare rischioso affidarsi a provenienze non locali o non sperimentate in precedenza.

Uno dei temi "caldi" è tuttora la proprietà del tartufo; sebbene la legge specifichi che la raccolta è libera nei boschi e negli incolti (e quindi per esclusione non lo sia altrove), il crescente aumento delle superfici riconosciute a raccolta riservata inasprisce i conflitti fra liberi cercatori ed i cosiddetti "riservisti", che si trovano a dover pagare una tassa per l'esercizio dell'attività a fronte di limitate possibilità di poterla praticare.

Il Piemonte ha cercato di supplire allo scarso interesse del proprietario non cercatore e non interessato ad entrare in un consorzio rispetto alla salvaguardia di una pianta produttiva, concedendo delle indennità per la conservazione del patrimonio tartufigeno, limitatamente alle piante produttrici di bianco pregiato. Alcune problematiche rimangono tuttavia ancora insolute, fra cui la notevole difficoltà di verifica della produttività delle piante e quindi della sussistenza del diritto al contributo; attualmente fa fede la dichiarazione di effettiva produttività da parte di due cercatori, possibilmente locali, che partecipano alle commissioni comunali che istruiscono la pratica.

Attualmente i liberi cercatori lamentano scarsi controlli sia sulle piante effettivamente produttive cui viene riconosciuto il diritto all'indennità, sia sulla perimetrazione delle tartufaie controllate. E' inoltre difficile anche il controllo in campo sui cercatori, specialmente quando la ricerca viene effettuata di notte, come in Piemonte.

Per la protezione dell'areale tartufigeno si sono prodotte delle cartografie di attitudine come supporto alla pianificazione, tuttavia per un eventuale inserimento nei piani regolatori comunali occorrerebbe scendere ad una scala 1 a 5-10.00, con oneri attualmente improponibili per vaste estensioni.

Aspetti commerciali: assenza di tracciabilità del prodotto, regime fiscale, nuovi mercati.

Da alcuni anni si è iniziato a studiare il genoma dei principali tartufi, ma per il bianco ed il nero pregiati si è verificato come vi sia parecchia uniformità e sia difficile individuare delle popolazioni geografiche definite. Inoltre l'analisi genetica riguarda e certifica il singolo esemplare, quindi non garantisce un lotto di tartufi, né può essere applicata su vasta scala. Un ulteriore limite è la possibile presenza di più ecotipi della stessa specie nella stessa regione; soprattutto per i tartufi "coltivabili" con piante micorrizate è una possibilità reale, del resto dimostrata con l'introduzione di nuove specie in ambienti molto distanti da quelli originali.

La tracciabilità influenza ovviamente gli aspetti commerciali e fiscali, come la possibilità di certificare prodotto locale ed eventualmente creare delle denominazioni d'origine od indicazione geografica protette.

Ma sono così diversi i tartufi provenienti da regioni differenti? O la ragione è essenzialmente un problema di qualità (grado di maturazione, tempo dalla raccolta, modalità di conservazione)?

Il giorno che si potesse conoscere l'origine di tutto il prodotto, sulle fiere principali si scoprirà probabilmente che buona parte di esso proviene da altri luoghi dove vi è maggior produzione e/o minor consumo locale, tuttavia sinora non pare siano sorti particolari problemi per questa ragione.

D'attualità è anche il riconoscimento ufficiale quale prodotto agricolo del tartufo; la Commissione Europea ha sancito che lo status di agricolo vale per tartufi e funghi, e di fatto solamente in Italia vi è una posizione poco chiara, mentre tutti gli altri Stati li riconoscono da sempre come tali, riconoscendo la loro proprietà al proprietario del fondo. Questo riconoscimento dovrebbe ridurre l'IVA sul prodotto al 4%, e dovrebbe anche facilitare i commercianti italiani, attualmente svantaggiati rispetto ai concorrenti esteri, in quanto non possono scaricare l'IVA da loro versata quando l'acquisto viene giustificato con autofattura da un piccolo cercatore o da un agricoltore.

Ciononostante in Piemonte qualcuno sostiene che l'IVA al 4% sarebbe un danno d'immagine per un prodotto di lusso. In realtà la scarsa trasparenza del mercato, soprattutto per il bianco pregiato, lascia supporre che il possibile minor introito erariale non sarebbe così drammatico, soprattutto perché probabilmente favorirebbe anche una "emersione" del mercato nero: in Piemonte i dati ufficiali parlano di molto meno di una tonnellata di tartufo bianco/anno.

In Piemonte esiste anche il timore che il riconoscimento dello status di prodotto agricolo ponga fine alla libera ricerca, e la proposta di chiamarlo: agricolo "spontaneo".....beh, anche i boschi e l'erba nei pascoli di montagna crescono da soli, ma la legna o i frutti delle piante che vi crescono, o l'erba, non sono a libera disposizione.

Nuovi mercati e nuovi Paesi produttori.

Al momento al di fuori dell'Europa non si tratta ancora di grandi quantità, e i Paesi che hanno introdotto e raccolto i tartufi al momento, e probabilmente ancora per alcuni anni, non avranno disponibilità tali da lanciare il prodotto in grande scala sui mercati esteri, ma si limiteranno quasi esclusivamente al consumo sul mercato interno. Non è tuttavia da trascurare l'ampliamento dell'areale di produzione per la definizione delle strategie di medio e lungo termine.

Alcuni dei Paesi che hanno introdotto il tartufo (per ora solo i tartufi neri) si trovano nell'emisfero Sud, quindi con produzione stagionalmente opposta; l'accettazione del prodotto fresco in stagione diversa da quella tradizionale potrebbe divenire importante con ripercussioni sulla filiera della trasformazione che vedrebbe verosimilmente ridursi i margini di manovra, anche se al momento pare che la richiesta sia tendenzialmente concentrata nella classica stagione di autunno - inverno.

Per ultimo, una nota sul tartufo "cinese", Tuber indicum; in natura vive su terreni tendenzialmente neutri o subacidi, ma sopporta il calcare ed è stato già trovato in Italia; presso Torino il micelio è stato rinvenuto mediante esami genetici in un suolo (acido) e si vocifera di raccolte sia pur sporadiche. La sua potenziale invadenza sui siti naturali sarebbe da verificare, poiché la sua predilezione per razioni neutre-acide potrebbe non renderlo così concorrenziale verso le altre specie maggiormente adattate a reazioni alcaline.

Per concludere, l'attuale situazione di declino della produzione nei siti naturali e l'espandersi del consumo in nuovi Paesi, fanno comunque presumere che la tartuficoltura sia tuttora un'attività di avvenire ed abbia margini di espansione, probabilmente continuando a specializzarsi ad attrezzandosi per affrontare le nuove sfide, ma sicuramente sfruttando la grande tradizione gastronomica che l'Italia possiede e che permette di valorizzare il prodotto e l'intero settore turistico.

 
 
 

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