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Serena Kacian nel paese di attori

  • Serena Kacian
  • 25 mar 2016
  • Tempo di lettura: 3 min

Pubblichiamo un testo di Serena Kacian, tratto da "Camminare insieme" e pubblicato nel 2005 in cui la donna che per lunghi decenni è stata l'unica vera animatrice culturale del nostro territorio, ripercorre la sua avventura: fare teatro per stare insieme, divertirsi, spezzare la routine quotidiana.

Se non avessi paura di peccare di presunzione, potrei dire “ma come eravamo bravi!”, eppure era proprio così. Mi ci volle poco per capire che ero capitata in un paese di attori. Nessuna persona del gruppo ha mai deluso le attese; ognuno ha sempre rispettato il suo ruolo dando il meglio di sé. L’importante era tirare fuori quello che erano capaci di fare.

Eppure il Siparietto non è nato con lo scopo di diventare celebri, conosciuti, attori. Tutt’altro: avevamo solo bisogno di stare insieme, di divertirci, di spezzare la routine quotidiana.

Come luogo d’incontro c’era solo il teatrino parrocchiale. Piccolo, brutto e freddo. La Pro Loco contribuì a rifare il sipario (verde come le nostre tasche); i ragazzi, aiutati da persone di buona volontà, verniciarono le pareti e don Isaia comprò le seggiole nuove. Era rimasto da risolvere solo il freddo e, molti anni dopo, con i primi (ed unici) soldini guadagnati in trasferta, comprammo una stufa di ghisa, naturalmente rubando la legna da ardere a Don Isaia. Erano queste riunioni, le famose “prove”, il vero divertimento, dove ognuno si esibiva in varie “performance”, talvolta per scherzo, in un’armonia difficile da creare in altri posti, che ci fa ancora pensare “ma come eravamo bravi in tutto!” Fra gli anni ‘80 e ’90, con diversi intervalli, abbiamo preparato e rappresentato: Il Bugiardo di C. Goldoni, Natale in casa Cupiello e Non ti Pago di E. De Filippo, L’Orso e La domanda di matrimonio di A. Checov, L’analfabeta e L’affranta famiglia di B. Nušić, Lo zoo di vetro di T. Williams.

Altre cose che avevamo in preparazione non sono mai state rappresentate mentre, con Non ti pago, Il Bugiardo e L’affranta famiglia ci siamo esibiti anche in città e, con Non ti pago addirittura nello splendido teatro di Porto San Giorgio.

Che dire dei protagonisti? Giuseppe Leopardi, un “bugiardo” patentato, Mauro Marini, talmente bravo nella parte di Luca Cupiello, capace di emozionare fino alle lacrime. A proposito: il letto dell’ultimo atto, nel quale moriva il protagonista, fu “calato” in scena da Agelli. Era il letto di Don Isaia. Mauro Strambi, protagonista di Non ti pago, con Gigi Federici nella parte di Aglietello.

Tanto per citare qualcuno ma in generale non c’era un solo protagonista: lo erano tutti. In ogni caso nel gruppo si sono avvicendati:

• Prima le signore. Giulia Robuffo, Anna Gironacci, Paola e Ida Federici, Sabrina Guerrieri, Anna Capriotti, Franca Leopardi, Rossella Luciani, Anna Cecilia Poletti

• Quindi, oltre ai già citati protagonisti, i signori erano: Luca Federici, Gianluca Guerrieri, Marco e Nino Poletti, Paolo Serafini, Marcello Formica, Giorgio Villa, Graziano Ruzzini, Nazareno De Angelis, Alessandro Cannella, Massimo Gaspari, Massimo Cioccolini, Bruno Seghetti, Luca Ciuti.

Il vero dramma arrivò proprio con un dramma: difficilissimo. Lo zoo di vetro. Due anni di preparazione per fare poi due sole esibizioni. Musiche appositamente composte da quel genio del Prof. Piero Marconi del Conservatorio di Fermo; scenografia efficace che rappresentava esattamente il clima dell’epoca: opera di Oscar Capriotti. E i quattro protagonisti: Amanda, la madre ossessiva (Anna Cecilia Poletti), Laura, sua figlia, invalida a una gamba (Manuela Caraffa), Tom, il figlio deluso di tutto che abbandona la famiglia (Francesco Serafini) e Jim, l’ipotetico fidanzato, tanto sperato dalla madre per la figlia menomata (Pietro Transatti). Bravissimi. Io, impaurita, mi domandavo: “Ma dove mi sono imbarcata?”.

Di tutte queste cose ho poche foto. Ci sono dei filmati che si potrebbero proiettare a tempo perso. Ancora oggi però c’è una cosa che mi stupisce: come facevamo a entrare tutti dietro le quinte (che non c’erano…) e come non sono crollate quelle quattro tavole di quel fatiscente palcoscenico e, con quale coraggio definivamo “proscenio” la sporgenza delle suddette quattro tavole.

No, eravamo incoscienti ma indubbiamente bravi.

 
 
 

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