Una storia Serena
- Angelo Gabrielli
- 19 lug 2016
- Tempo di lettura: 5 min
Ricordiamo, a un mese dalla scomparsa, Serena Kačian Poletti, una donna che ha dato tanto a Roccafluvione, con alcune note biografiche che testimoniano il suo indomabile spirito creativo, che ha stimolato come nessuno la crescita culturale della nostra comunità.

Sono certo che chiunque abbia visto Serena per l'ultima volta, nella stanza di casa sua, adagiata sotto il leggerissimo velo bianco trasparente nell'ultimo cruogiolo con cui si sarebbe riconsegnata alla terra, non dimenticherà mai l'espressione lieve e delicata del suo volto, minuto e gentile, con cui sempre si era posta verso la vita e verso gli altri, le labbra socchiuse, sotto le palpebre abassate, come aperte al lieve stupore con cui si oltrepassa il confine del familiare e del conosciuto, chiusi gli occhi alle storie terrene, intrapreso il viaggio verso l'infinito.
Quando sono entrato nella sua stanza e l'ho vista, minuta, fragile ed elegante nel suo ultimo abito nero, immersa nel raso bianco che la circondava, mi sono sentito pervaso da una profonda sensazione di quiete, che sentivo sprigionarsi dal suo volto sereno, una quiete che sembrava oltrepassare il confine del presente terreno e dell'immenso che l'aveva accolta , in ciò che a noi che restiamo è ancora sconosciuto e di cui lei era ormai parte.
Solo più tardi ho notato Cecilia, seduta al suo fianco, il polso di una mano appoggiato sul bordo della bara, la mano appena scivolata sotto il velo trasparente, come a voler mantenere il contatto tra i due mondi, ormai separati per sempre. Come Admeto quando relizzò che doveva morire il giorno del suo matrimonio:
"Admeto deve morire. Quando? Adesso.
La dura scorza dell’ orrore egli la fece in mille pezzi
e ne trasse le mani
che tendeva
per venire a patti con il dio.
Anni chiedeva, un solo anno ancora
di giovinezza, oppure mesi, settimane,
gridò senza frenarsi, e gridò ancora,
come sua madre quando lo mise al mondo... (Rainer Maria Rilke, Alcesti)

Serena Kačian, futura Poletti, nacque a Zara (nell'attuale Croazia) il 29 ottobre del 1931. In quel periodo Zara era un porto franco italiano, pieno di cultura italiana, veneziana in particolare, e benessere. "Mio nonno", ricorda Anna Cecilia Poletti, sua figlia "Giuseppe Kačian, era un soldato italiano, costretto a lasciare prima la Jugoslavia poi anche l'Italia per cui aveva combattuto, dopo la guerra persa. Mia nonna, Antica Sarin, di origine isolana (Ugljan, isola di fronte Zara), proveniva da una famiglia di pescatori, in cui la capostipite era l'unica persona non analfabeta del paese che si occupava di leggere le lettere che arrivavano dai soldati e dagli emigrati e le scriveva sotto dettatura.

"La loro casa era di fronte al mare, vocata all'accoglienza dei naufraghi. Mia madre si sentiva orgogliosamente italiana di Dalmazia dopo la delusione di un'Italia e una Jugoslavia che allo stesso modo li avevano maltrattati.
"Per restare italiana aveva accettato di lasciare tutto: studi, interessi, amici, affetti. Aveva studiato all'Istituto Magistrale di Zara e parallelamente aveva intrapreso le prime esperienze teatrali, prima come attrice e poi come responsabile delle compagnie teatrali operaie esistenti nelle fabbriche.
"Da mio nonno le derivava la passione per l'opera lirica: fin da piccolina la accompagnava a teatro a vedere le opere e lei era arrivata a conoscere a memoria ogni aria. Dalla cultura isolana le derivava la passione per le tradizioni e il ballo folcloristico. Dal teatro e dalla mentalità isolana l'ironia e l'antipatia verso ogni forma di esaltazione e fanatismo.
"Con i giovani di Tito aveva ricostruito le strade dopo la guerra ma ne respingeva i toni, i modi, l'esaltazione, il linguaggio stereotipato. Le dissero di cercare la "cellula" (un gruppo di aderenti); lei si presentò con la lente di ingrandimento. Con meno ironia e molto più dolore prendeva le distanze anche dell'ideologia di mio nonno.

Al campo profughi
"Lo strappo del trasferimento in Italia con lo status di profughi fu grande. Sapeva che l'Italia, sconfitta in guerra, non poteva essere il paradiso che altri descrivevano e non avrebbe accolto questi figli della Dalmazia come italiani a tutti gli effetti. Accettò la volontà della famiglia di riunirsi e di mantenere la cittadinanza italiana.
"Con l'orgoglio che la contraddistingueva, una volta constatato che le sue previsioni corrispondevano alla realtà, non accettò lamentele né da se stessa né dagli altri e, come la maggiore di tre fratelli, dei quali si sentiva responsabile, iniziò a ricostruire da capo la vita.

Comparsa in un'opera lirica
"Nonostante la padronanza perfetta della lingua, il diploma magistrale preso a Zara non le fu riconosciuto quindi dal campo profughi di Frosinone si adattò ai lavori che trovava con i corsi che riusciva a fare (segretaria di un penalista prima e d'azienda poi, indossatrice di pellicce per arrotondare). Frosinone non era esattamente l'ambiente che si aspettavano: queste ragazze che indossavano i pantaloni (per praticità poiché a Zara spesso c'era Bora) e che tiravano avanti la famiglia erano viste come eccessivamente emancipate e fraintese. Ma la curiosità di conoscere era sempre maggiore rispetto alla delusione: così si avvicinò in quegli anni tanto alla cultura degli zingari del campo profughi quanto a quella della musica jazz che si stava affermando nel Lazio (con un nome fra tutti Lucio Dalla).

Gruppo teatrale di Roccafluvione "Il Siparietto"
Conobbe mio padre alla Snia bpd, fabbrica americana di munizioni e missili per cui lavorava come segretaria e dopo il trasferimento di mio padre all'Enel di Ancona prima e di Ascoli poi, affrontò l'ulteriore trasloco a Roccafluvione, la mia nascita, la nascita della Pro loco e del gruppo di atletica leggera (per cui prese il patentino di allenatrice), l'impegno con don Isaia per rendere passi del vangelo più comprensibili e vicini attraverso la rappresentazione teatrale (via crucis vivente e ultima cena) e la formazione del gruppo teatrale "Il Siparietto" per cui ha tradotto e riadattato commedie del drammaturgo serbo Branislav Nusic che aveva rappresentato in gioventù e che sono attualmente le uniche traduzioni esistenti in lingua italiana.

Il gruppo di Atletica
"Un impegno poliedrico di 40 anni volto a ottenere i migliori risultati senza l'ambizione del successo su larga scala, con il vezzo di creare una nicchia nella nicchia, sempre divertendosi.

Il Carnevale
"Gli ultimi sette anni sono stati segnati da una malattia che poco a poco le ha tolto memoria, linguaggio, autonomia ma che non ha scalfito minimamente il carattere e la voglia di vivere, la capacità di lottare, con la bellezza di chi di fronte alle prove più dure non si è mai piegato".

La Via Crucis
Come l'Admeto di Rainer Maria Rilke, chiamato all'ultimo passo nel giorno del suo matrimonio e graziato dalla grande mietitrice in cambio del sacrificio della sua sposa, che prese il suo posto, mi piace ricordare Serena, a un mese esatto dalla sua scomparsa.
"Una volta ancora egli vide la fanciulla
il viso rivolto indietro, il suo sorriso
chiaro come una speranza, splendente
come una promessa: di ritornare a lui
dalla profonda morte, tornare adulta
a lui, rimasto in vita".

L'ultima festa 2016 de "Il Siparietto"

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