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Un'estate a teatro

  • Anna Cecilia Poletti
  • 22 lug 2016
  • Tempo di lettura: 4 min

«In questi momenti, si crea in me una serenità pazzesca. Il luogo fa tanto. Quel teatrino dove si è cresciuti, quel sipario verde che ne avrebbe da raccontare, quelle sedie che son state abbracciate da gente e gente... In questi momenti, si crea in me una serenità pazzesca. Con i bambini, dove io ero bambino. Non è un luogo come tanti, ha molti ricordi speciali e stasera ce ne sarà da aggiungere un altro alla lista. Si va in scena». (Walter Galotto)

È vero, Walter, quel piccolo locale che è stato pollaio, teatro, poi chiesa e ancora teatro ha il potere di accogliere, di consolare, di rasserenare, di far risplendere come stella la più piccola scintilla. Se ci fai caso la voce più sottile riesce comunque a risuonare, il silenzio intorno si crea spontaneamente e il miracolo che altrove non avviene lì si manifesta: si è ascoltati.

I piccoli che hanno partecipato al laboratorio estivo, organizzato da Pro Loco e Parrocchia Santo Stefano e curato da Walter Galotto, hanno dedicato parte delle loro vacanze alla realizzazione di una serata divertente e commovente. Non conoscevano tutto ciò che è accaduto in 30 anni al “teatrino” e il loro entusiasmo è stato sorprendente.

Quando Walter mi ha chiesto se avevo voglia di passare un paio d’ore con loro, durante il laboratorio, a raccontare di mia madre ho subito accettato, poi ho avuto un momento di incertezza: avevo paura che il mio stato d’animo gravasse sulla giovane età dei partecipanti (bambini dai 6 ai 9 anni); non sarebbe stato facile coniugare il nodo in gola con cui convivo con la necessità di creare una situazione piacevole e coinvolgente per i piccoli partecipanti.

Ho preso con me delle foto, la valigia di cartone, la macchina da scrivere con cui mia madre ha stampato quasi tutti i copioni teatrali e sono andata. Ero d’accordo con Walter che sarei arrivata mentre i bambini facevano la pausa merenda nell’altra sala, in modo da far loro una sorpresa. La porta del teatrino era spalancata, le seggiole disposte in semicerchio, un piccolo rialzo con un tappeto rosso sul palco, il sipario aperto, intorno cartelli con regole da ricordare (perché il teatro è anche disciplina), il cartellone delle presenze, colori, le luci di scena accese, così come la musica che mi ha accolto appena scesa dalla macchina: la colonna sonora di “Lezioni di piano”.

È bastato varcare quella soglia per abbandonare la tristezza. Sono entrata, ho predisposto sul palco da un lato la valigia di cartone, dall’altro la macchina da scrivere con un cartellone che avrei fatto riempire di foto e la scatola con le fotografie che avevo scelto.

Mi sono nascosta dietro le quinte (che non ci sono) e ho aspettato. Uno a uno sono arrivati i bambini, ho sentito le loro voci stupite: sono arrivati di corsa e di colpo si sono fermati e “conoscerli” in questa situazione è stato bello e consolatorio. Un gruppo fortemente empatico, in cui gli animi sensibili dei bambini si amplificano a vicenda e diventano capaci di immedesimarsi non solo in un ruolo ma anche nei panni di una persona che nel presente sta soffrendo o che in un tempo remoto ha dovuto abbandonare tutto per scappare dalla guerra. Sono curiosi di conoscere la storia che raccontano quel sipario verde, quelle seggiole donate, quella stufa comprata con i primi guadagni del gruppo teatrale.

“C’era babbo?”: così nelle foto si gioca a riconoscere babbi, mamme, zii, nonne, maestre. Ogni foto un piccolo racconto e un gioco di improvvisazione e il tempo vola, vola serenamente e consola.

Walter prende appunti e due giorni dopo ha pronto il copione dello spettacolo finale messo in scena questa sera: Diario di una vita Serena.

C’è un po’ di tutto: spunti biografici frammisti ad atletica, rappresentazioni teatrali dai contorni surreali, nel suo stile leggero, ironico, che suggerisce la riflessione ma non diventa mai drammatico o enfatico, che sorride con la lacrima, ma pur sempre sorride, pieno di affetto e gratitudine. I bambini lo seguono in totale complicità: si fidano, si divertono, divertono e commuovono.

Si è respirata un po’ di quell’aria delle prime rappresentazioni di 30 anni fa, in cui ognuno contribuiva con quello che poteva e sapeva fare: così il comune ha offerto la merenda, le famiglie sono arrivate ognuna con il proprio pacchettino per preparare il rinfresco post spettacolo, qualcuno ha rimediato le luci, qualcun altro ha aggiustato il sipario, chi ha pulito, chi si è occupato dei premi, chi ha collaborato dietro le quinte e nella parte tecnica.

I bambini? Ora conoscono anche loro “il teatrino”, sono pronti a viverlo e a continuare la storia di quel luogo che con Serena è iniziata.

Ma grazie a Walter, oltre ad attore eccellente educatore, hanno fatto anche un passo in più su quel palcoscenico della vita che, come diceva Oriana Fallaci, non importa in quanto tempo né in che modo si attraversi ma importa attraversarlo bene, senza cadere nella buca del suggeritore, battendosi sempre per le cose in cui si crede, un po’ come ha fatto anche mia mamma.

 
 
 

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